Il velo del mistero continua ad avvolgere l’intricato caso di Chiara Poggi, e un nuovo, inquietante filone investigativo si dipana attorno a un luogo di spiritualità e, al contempo, di sussurri torbidi: il Santuario della Madonna della Bozzola. Non un semplice edificio sacro, ma un crocevia di fede e di dicerie che, per la loro natura sinistra, sembrerebbero dissonare con l’aura di devozione che lo circonda. Eppure, è proprio qui, tra le navate e le penombre, che le voci si rincorrono, dipingendo scenari di abusi presunti, festini notturni, riti esoterici e l’ombra più scura della pedofilia. Storie che, come un filo inatteso, sembrano riannodarsi ai passi virtuali compiuti da Chiara Poggi nei giorni che hanno preceduto la sua brutale uccisione. La giovane 26enne di Garlasco, inspiegabilmente, custodiva sul suo disco portatile non solo articoli sugli scandali sessuali che avevano scosso la Chiesa americana, ma anche una traccia tangibile del suo interesse per il Santuario della Bozzola. Ricerche effettuate sul web, salvate senza un legame apparente con i suoi studi o il suo impiego lavorativo. Un dettaglio marginale all’epoca, o forse una scintilla che potrebbe illuminare scenari finora inesplorati?
Questa pista, per quanto suggestiva e carica di potenziale narrativo, viene accolta con una certa dose di cautela, se non di scetticismo, dai magistrati della Procura di Pavia che hanno coraggiosamente riaperto il fascicolo sul delitto di Garlasco, indagando Andrea Sempio. Fino a questo momento, le indagini non avrebbero palesato connessioni concrete e dimostrabili tra le voci sulfuree che gravitano intorno alla Bozzola e i fatti specifici che compongono il mosaico dell’omicidio. Il focus principale degli inquirenti, in questa fase rinnovata, rimane saldamente ancorato all’analisi scientifica. Dati oggettivi, impronte, tracce biologiche che possano posizionare Sempio, o chiunque altro, sulla scena del crimine. Il loro sguardo è rivolto anche verso la possibile esistenza di complici, figure che potrebbero aver agito nell’ombra, facilitando o partecipando all’efferato gesto.
«Non suggestioni», è la ferma precisazione che giunge dagli ambienti investigativi. Richiamo alla realtà, alla concretezza del loro mandato: «Si tratta di un’inchiesta per omicidio», non la trama di una serie televisiva. Questa distinzione è fondamentale per comprendere l’approccio rigoroso che i magistrati intendono seguire. Tuttavia, per sgombrare il campo da ogni possibile zona d’ombra, per non lasciare spazio a interrogativi irrisolti che possano alimentare il torbido fiume dei misteri, si è deciso di procedere su più fronti, anche quelli apparentemente più lontani dalla logica investigativa tradizionale. Nelle prossime ore, infatti, verranno acquisiti e analizzati gli atti di un procedimento giudiziario che risale al 2014, un caso di ricatto a sfondo sessuale che ha visto coinvolti alcuni religiosi del Santuario della Bozzola. Parallelamente, l’attenzione si sposterà su scambi comunicativi più recenti: verranno esaminati i messaggi audio che Paola Cappa, la madre di Chiara, avrebbe scambiato negli ultimi mesi con l’ex agente Francesco Chiesa Soprani, una figura legata al mondo dell’intelligence privata e spesso presente nei dibattiti sul caso.
Ma il punto di contatto più diretto con la vittima rimane l’interesse di Chiara stessa per il Santuario. I carabinieri di Milano sono incaricati di approfondire le due ricerche effettuate da Chiara sulla Bozzola. La prima traccia digitale risale alle 11.06 del 26 luglio, la seconda alle 15.41 del primo agosto, date che precedono di pochi giorni il delitto. In entrambi i casi, le ricerche condotte dal computer del suo luogo di lavoro l’avevano portata a visualizzare e scaricare una fotografia del Santuario. Un interesse che, stranamente, non era mai emerso nelle indagini precedenti. Nemmeno Alberto Stasi, l’ex fidanzato di Chiara, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio, aveva mai fatto cenno a questa particolare attenzione della giovane.
Ed è qui che si annida un inquietante interrogativo. Se, come sembra suggerire l’avvocato Massimo Lovati, difensore di Andrea Sempio, esiste davvero una ‘altra verità’ sulla vicenda legata al Santuario, un segreto su cui Chiara aveva posato gli occhi poco prima di morire, è plausibile che Alberto Stasi ne fosse del tutto ignaro? Questa possibilità, o l’impossibilità di escluderla a priori, getta una nuova luce sull’intera dinamica del caso e spinge gli inquirenti a sondare anche ambiti finora meno battuti. Non è esclusa, infatti, la possibilità che vengano di nuovo ascoltati gli ex colleghi di lavoro della ventiseienne, impiegata all’epoca in un’azienda situata in via Savona a Milano. È in quell’ambiente lavorativo che, in passato, emerse la testimonianza di una compagna d’ufficio che parlò di due telefoni cellulari in possesso di Chiara e di presunte amicizie milanesi, dettagli che, all’epoca, non trovarono un riscontro esaustivo nelle indagini e rimasero ai margini del quadro probatorio.
Ma cosa c’è di concretamente documentato sulla storia del Santuario della Bozzola che possa giustificare un tale interesse investigativo, al di là delle pure voci? Gli atti che la Procura intende acquisire si riferiscono, come accennato, a un processo che si è concluso con la condanna per estorsione di due cittadini romeni, Flavius Savu e Florin Tanasie. La loro vittima fu, in parte, un gruppo di religiosi, tra cui spiccava la figura di don Francesco Vitali, conosciuto come don Gregorio, all’epoca rettore del Santuario e noto esorcista. Il ricatto era basato sulla minaccia di divulgare registrazioni audio-video che documentavano rapporti sessuali tra i religiosi e i due estorsori. La somma richiesta era ingente, 250 mila euro, una parte dei quali, secondo le sentenze, venne effettivamente pagata.
È proprio dalla sentenza di questo processo che emergono dettagli agghiaccianti, testimonianze che gettano una luce cruda su ciò che accadeva dietro le porte del Santuario. In particolare, viene riportato l’interrogatorio di don Paolo Scevola, allora promotore di giustizia diocesano, a Florin Tanasie. Un dialogo esplicito, in cui si parla senza veli di “filmini”, di registrazioni audio compromettenti, di “appuntamenti orgiastici” e di denaro che passava di mano. Don Paolo incalza: «Chi partecipa di solito?». La risposta di Tanasie è diretta: «Don Gregorio». E specifica, ampliando il quadro degli incontri: «Con più giovani?». E ancora: «Ci vanno anche donne, due donne, però io quelle non le ho viste, non ho la prova… Giovani, giovani». Su specifica domanda, «Maggiorenni o minorenni?», la risposta è un categorico: «Minorenni no». Un “Mmh” da parte del promotore di giustizia chiude questo scambio inquietante, documentando un contesto che, se provato nella sua totalità, dipingerebbe un quadro di degrado morale profondo all’interno della struttura religiosa.
E in questo humus fertile per le suggestioni, si inserisce la dichiarazione più recente dell’avvocato Lovati, quasi una visione, un sogno notturno tradotto in ipotesi investigativa: Chiara Poggi sarebbe stata uccisa perché custode di un segreto pericoloso legato proprio al Santuario della Bozzola. Un’idea che, per quanto affascinante e capace di scuotere le fondamenta dell’accertamento giudiziario, si scontra con una dissonanza temporale che non può essere ignorata: il delitto di Chiara risale al 2007, mentre gli scandali e il procedimento giudiziario emersi in tutta la loro gravità intorno al Santuario sono datati 2014. Una distanza di sette anni che, almeno in prima battuta, rende complessa una connessione diretta e immediata. Eppure, la mente di Chiara ha cercato quel luogo, ha salvato quelle immagini, in un periodo immediatamente precedente la sua morte. Cosa, di preciso, cercava? Quale verità celata sperava di afferrare? Queste domande rimangono, sospese nell’aria, alimentando la complessità di un caso che, a distanza di anni, continua a interrogare e a sfidare ogni tentativo di ricomposizione definitiva.
This case keeps getting more unsettling. The connection to the Sanctuary of Bozzola adds another layer of mystery. It’s hard to ignore how these small details—like her saved searches—might point to something deeper. Hoping the truth eventually comes to light.
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