• 23 Giugno 2025 06:30
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Un nuovo, audace colpo sferrato dall’intelligence ucraina ha nuovamente messo in ridicolo le imponenti difese di Mosca, colpendo l’obiettivo più gelosamente custodito del Cremlino: il Ponte di Kerch, cruciale arteria che unisce la Crimea alla Federazione Russa. Gli audaci incursori di Kiev sono riusciti a detonare una carica esplosiva alla base di uno dei massicci pilastri in cemento che sorreggono l’infrastruttura. Sebbene le prime comunicazioni trapelate dal Cremlino abbiano minimizzato i danni, descrivendoli come limitati e suggerendo una sospensione del traffico per solo il tempo strettamente necessario alle verifiche strutturali, la narrazione ucraina dipinge un quadro ben più grave. Kiev asserisce di aver posizionato un’impressionante quantità di 1.100 chilogrammi di esplosivo plastico proprio sotto le fondamenta del pilastro, un quantitativo che, se confermato, presagirebbe una detonazione di tale portata da compromettere irreversibilmente la stabilità e l’integrità dell’intera opera infrastrutturale.

L’esatto impatto militare a lungo termine di quest’ultimo attacco rimane ancora oggetto di attenta valutazione, ma l’onda d’urto propagandistica è, senza ombra di dubbio, di proporzioni colossali. Questo nuovo raid si inserisce in una serie di provocazioni abilmente orchestrate che hanno preceduto e seguito l’evento principale. Solo domenica scorsa, il cuore della Russia è stato scosso da un’inusuale incursione: camion modificati, trasformati in piattaforme lancia-drone, hanno sferrato attacchi dai 007 di Kiev in regioni remote, dalla vasta Siberia fino alle porte dell’Artico. Il bilancio di quell’operazione è stato devastante: numerosi bombardieri, destinati a scenari di confronto nucleare con gli Stati Uniti, sono stati distrutti. Le fonti ucraine attestano la distruzione di almeno tredici velivoli, mentre le controparti americane suggeriscono una cifra ancora maggiore, stimando venti aeromobili inceneriti. Non va dimenticato inoltre il sabato precedente, caratterizzato da una serie di attentati mirati contro ponti ferroviari nelle regioni russe prossime al confine ucraino e nella città occupata di Melitopol. In almeno due casi, il crollo delle strutture è stato inequivocabilmente causato da ordigni esplosivi, mentre per altri due la dinamica esatta rimane avvolta nel mistero e nell’incertezza.

Il Ponte di Kerch, tuttavia, trasende il mero valore strategico militare o logistico; esso incarna il simbolo materiale e tangibile dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Con una lunghezza che si estende per circa 18 chilometri, la sua costruzione, costata oltre quattro miliardi di euro, è stata concepita per forgiare un collegamento fisico indiscutibile tra la penisola – che, prima dell’invasione del 2022, vantava confini terrestri solo con l’Ucraina – e la Russia. Il progetto fu avviato con decisione nel 2014, immediatamente dopo l’occupazione della Crimea, e il ponte fu definitivamente inaugurato da Vladimir Putin il 23 dicembre 2019. Dotato di una doppia connessione, stradale e ferroviaria, ha rivestito un ruolo di inestimabile valore strategico nella complessa logistica del conflitto, fungendo da indispensabile nervo vitale per l’approvvigionamento e il rifornimento delle forze armate russe impegnate sul fronte meridionale dei combattimenti.

A seguito della sua funzionalità e del suo impiego cruciale, la maestosa infrastruttura è stata dotata di un’impressionante panoplia di protezioni e di sistemi di difesa. Tuttavia, secondo l’intelligence britannica, i movimenti di materiali bellici attraverso il ponte avrebbero subito una diminuzione nel tempo, forse a causa della crescente consapevolezza della sua vulnerabilità. Ogni singolo pilastro del ponte è stato fortificato con sofisticati sistemi elettronici di disturbo, progettati per neutralizzare la minaccia rappresentata da aerei e battelli telecomandati. A ciò si aggiunge una tripla linea di armi contraeree e robuste barriere galleggianti, disposte a difesa del perimetro. Una sorveglianza così capillare e apparentemente impenetrabile non è bastata, tuttavia, a sventare il nuovo, audace colpo di mano ucraino. Permane un velo di mistero su come i commandos ucraini siano riusciti a superare un tale dispiegamento di difese.

L’ipotesi che attualmente gode di maggiore credito è che gli autori dell’attacco abbiano fatto ricorso a un drone sottomarino estremamente sofisticato, capace di depositare la carica esplosiva per poi autoaffondarsi a breve distanza, cancellando così ogni traccia e impedendo l’immediata scoperta del sabotaggio. Ma non viene neppure esclusa l’audace, quanto cinematografica, suggestione di un vero e proprio “italian job”: un ordigno trasportato e piazzato da sommozzatori su piccoli siluri, gli antesignani dei moderni veicoli subacquei, riecheggiando le gesta dei celebri “maiali” utilizzati dalla Regia Marina nel 1942 contro le navi britanniche. Questo scenario, sebbene più ardito, sottolinea l’ingegnosità e la determinazione degli aggressori.

Le implicazioni di questo attacco sono profonde e complesse, alimentando un vivace dibattito tra gli analisti geopolitici. Alcuni di essi suggeriscono che la crescente audacia e la portata delle operazioni ucraine in territorio russo – compresi gli attacchi sempre più frequenti alle infrastrutture critiche – potrebbero teoricamente spingere Mosca a considerare risposte di un calibro finora inedito, arrivando persino a ipotizzare l’utilizzo di testate atomiche tattiche come estrema forma di deterrenza o rappresaglia. Le dichiarazioni rilasciate dall’ex presidente russo Dmitry Medvedev rafforzano questo clima di crescente tensione e di escalation retorica. “La rappresaglia è inevitabile”, ha ribadito Medvedev con toni inequivocabili, aggiungendo: “Tutto quello che deve saltare in aria, esploderà. Quelli che devono essere eliminati, scompariranno.” Parole che non lasciano spazio a interpretazioni più morbide, delineando un futuro prossimo potenzialmente caratterizzato da ritorsioni sempre più severe e imprevedibili, e ponendo il livello di confronto su un piano di pericolosità inedita che continua a tenere con il fiato sospeso la comunità internazionale.

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1 commento su “La fine di Putin è vicina?”

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