TAROCCHI GRATIS NEWSA più di trent’anni di distanza, tasselli di verità vanno al loro posto. E dicono che l’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta non fu affatto il favore di Cosa Nostra a chissà quali poteri occulti dello Stato ma un’operazione militare realizzata con un obiettivo: impedisce le indagini sul dossier Mafia -appalti, insabbiato dai vertici della procura di Palermo. Il grande capo della procura di Palermo, Pietro Giammanco, era talmente coinvolto nell’opera di insabbiamento che avrebbe dovuto essere arrestato. Invece alle 16,58 del 16 luglio 1992, in via D’Amelio, l’autobomba di Cosa Nostra massacrò Borsellino e i suoi agenti. E Giammanco rimase al suo posto. Sono parole tremende, quelle pronunciate ieri davanti alla commissione parlamentare Antimafia da Giovanni Trizzino, avvocato palermitano.
A renderle pesanti c’è il fatto che provengono da un uomo che storia e protagonisti li ha studiati a fondo. Trizzino, marito di Lucia Borsellino, è l’avvocato di tutta la famiglia del magistrato ucciso, compresa la figlia Fiammetta, che alla leggenda della trattativa non ha mai creduto, e che ha sempre indicato la radice della morte del padre in quell’inchiesta sugli appalti mafiosi, sulle contaminazioni tra imprenditoria del nord – Ferruzzi in testa – e capitali Cosa Nostra, che andava fermata ad ogni costo. Borsellino si era convinto che c’erano responsabilità precisa dei vertici della procura di Palermo: «Borsellino – dice Trizzino – voleva arrestare o fare arrestare l’allora procuratore Pietro Giammanco» perché «aveva scoperto qualcosa di tremendo». Giammanco, lo stesso che quando i carabinieri del Ros indicarono in Borsellino il bersaglio di un progetto di attentato non avvisò nemmeno il collega.
Giammanco è morto da cinque anni, portandosi dietro ombre e segreti di quella stagione. Ma le rivelazioni di Trizzino mettono al posto giusto molti passaggi. A partire dal ruolo dei vertici del Ros […] fu a loro che il magistrato si rivolse quando scoprì il ruolo del procuratore di Palermo: «Borsellino ha organizzato un incontro segreto con l’allora colonnello del Ros dei carabinieri Mori e il capitano De Donno, il 25 giugno del 1992 , perché aveva scoperto qual cosa tremendo sul conto del suo capo. Si parla di contrasti e circotanze talmente gravi che lo hanno convinto che quel suo capo era un infedele». A decidere la strage fu poi Totò Riina, «se ne assume in proprio la responsabilità di via D’Amelio, si comportò da vero dittatore». Ma il movente va ricercato lì, in quel dossier insabbiato. D’altronde anche Matteo Messina Denaro, prima di morire, lo ha detto ai pm di Palermo: «Ma voi pensate davvero che Falcone è morto perché ci aveva dato quindici ergastoli?».CONTINUA A LEGGERE SU TAROCCHI GRATIS