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VOLETE SAPERE PERCHÉ I GATTI SONO PIÙ STRONZI DEI CANI?

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AMICO MIAO – COME MAI I GATTI SONO PIÙ STRONZI DEI CANI? RISPONDE LA PROFESSORESSA DI ETOLOGIA: “QUESTA DIFFERENZA DIPENDE DA UN DIVERSO CAMMINO EVOLUTIVO: NEL CANE I PRIMI SEGNI DI DOMESTICAZIONE COMPAIONO GIÀ 26 MILA ANNI FA, MENTRE PER IL GATTO DOBBIAMO ASPETTARE IL NEOLITICO” – MA I FELINI FANNO I DIFFICILI SOLO PER TIRARSELA: “È STATO AMPIAMENTE DIMOSTRATO CHE I GATTI SI LEGANO EMOTIVAMENTE AGLI UMANI CHE SI PRENDONO CURA DI LORO”…

Secondo il celebre veterinario Fernand Méry, “Dio ha creato il gatto per dare all’uomo il piacere di accarezzare la tigre”. Chiunque viva con un gatto, in effetti, conosce lo stupore di ritrovarsi i suoi canini piantati nella carne nel bel mezzo di un’effusione.

Perché lo fa? A questa e altre domande (i gatti ne suscitano molte) prova a rispondere Paola Valsecchi, professoressa di Etologia applicata ed evoluzione dei vertebrati all’Università di Parma, nel libriccino Non dire gatto (Il Mulino). Avendone scritto uno anche sul cane (Attenti ai cani, 2020), Valsecchi ha l’autorità per pronunciarsi su un annoso problema: perché nel gatto sentiamo ancora la tigre, mentre il cane non ci fa pensare al lupo?

Strade evolutive

“I gatti possono avere reazioni più repentine e aggressive, mentre è raro che un cane azzanni il padrone che lo sta accarezzando. Io credo che questa differenza dipenda da un diverso cammino evolutivo”.

Innanzi tutto, nel cane i primi segni di domesticazione compaiono già 26 mila anni fa, mentre per il gatto dobbiamo aspettare il Neolitico: insediamenti stabili di agricoltori, con le loro scorte di cereali, e i loro topi da scacciare.

Inoltre, mentre il cane ha subito fin da subito molte modificazioni, adattandosi a ruoli diversi (aiuto nella caccia, guardiano, conduttore del gregge, compagno di vita), il gatto domestico – il cui unico ruolo era dare la caccia a roditori e serpenti – è rimasto pressoché immutato per molte migliaia di anni.

“E ancora, fino a 50 o 60 anni fa, i gatti erano sostanzialmente animali di campagna; certo, ogni tanto ti salivano in braccio, ma questo era tutto. Vivevano per conto loro. Il gatto di casa, così come lo intendiamo noi, è recentissimo”.

Le razze di gatto non compaiono che a fine Ottocento e oggi non superano la cinquantina (contro le circa 400 razze di cane). Si va dall’Abissinian, probabilmente la più antica, alla recentissima Lykoi. Dal minuscolo Singapura al maestoso Maine Coon. “Alcune razze, come il Ragdoll, o il Certosino, sono decisamente più affettuose. Ma in generale è vero che la natura dei gatti, avendo subito meno modificazioni, è più selvatica”.

Per un luogo comune fondato, però, ce ne sono altri da smentire. Per esempio, che il gatto sia un opportunista che si affeziona alla casa ma non al padrone. “È stato ampiamente dimostrato che i gatti si legano emotivamente agli umani che si prendono cura di loro, è questo che gli ha consentito di inserirsi con successo nella società umana”. Molti studi dimostrano che sanno distinguere le persone familiari da quelle sconosciute anche dalla voce.

Che riconoscono il nome del proprietario e anche quelli di eventuali gatti con cui convivono. Che sono in grado di associare correttamente l’espressione di una persona arrabbiata e di una felice. E che l’esposizione a un’emozione umana negativa (anche tramite video) genera in loro una risposta di stress.

Sicuri o ansiosi, dipende da noi

Non così diversamente dai bambini, il loro attaccamento a chi li accudisce può essere di tipo sicuro o insicuro. Nel secondo caso, ricongiungendosi al proprietario dopo una separazione il gatto tende a manifestare un eccessivo bisogno di prossimità, oppure a evitarlo completamente.

“Sono emerse anche alcune interessanti correlazioni fra la personalità del gatto e quella del proprietario, e qui però devo ricordare che una correlazione fra due variabili significa solo che tra quelle due variabili c’è un rapporto e che tendono a muoversi in parallelo: umani con un alto punteggio nel fattore “apertura mentale” tendono ad avere gatti sicuri di sé, non ansiosi e non nervosi, mentre quelli con un alto punteggio di nevroticismo hanno gatti più ansiosi e bisognosi di contatto”.

Ai fini del benessere del gatto, è comunque utile conoscere le sue forme di comunicazione, anche le più sottili. Tra queste ce n’è una che solo di recente ha attirato l’attenzione dei ricercatori: l’half blinking, cioè quando il gatto socchiude gli occhi, li chiude per qualche secondo poi li riapre appena, e così via.

Nuove evidenze sperimentali fanno supporre che questo sia un modo per comunicare emozioni positive. Tra l’altro, i gatti apprezzano che sia reciproco: lo manifestano più frequentemente se i loro proprietari lo hanno fatto con loro, e preferiscono avvicinarsi a un estraneo dopo un’interazione di ammiccamento.

L’importanza del gioco

Di più: “volete sapere se la nuova marca di scatolette gli piace? Osservatelo: se durante il pasto socchiude gli occhi, avete fatto centro. Se invece non gli piace, passerà più tempo ad annusarlo, muoverà la coda nervosamente e dopo si dedicherà alla pulizia del pelo molto più a lungo”.

A proposito del grooming: non lo fanno solo per pulirsi. Oltre a mantenere funzionanti artigli e polpastrelli, pare che possa avere una funzione di termoregolazione: uno studio del 2018 ha dimostrato che bagnando la base del pelo il gatto riesce ad abbassare la temperatura superficiale di quella zona fino a diciassette gradi. Anche le fusa possono trarre in inganno: a volte le emettono quando sono malati.

“Credo che l’errore più comune sia considerare il gatto un animale che non soffre la solitudine” conclude Valsecchi. “I gatti hanno bisogno di contatto e di gioco. E poi di un ambiente sufficientemente complesso. Offritegli quindi scaffalature, graffiatoi, nascondigli. Ma soprattutto, mensole ad altezze diverse, ripiani alti da cui possa controllare l’ambiente: per il gatto è fondamentale la dimensione verticale”.

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