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I DUE VISIONARI

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La morte anche se prevedibile ed annunziata, lascia sempre una forma di stupore e di incredulità. L’impronta di Silvio Berlusconi sugli anni Ottanta e Novanta del Novecento è stata così forte e così totale che la sua fine appare oggi, anche per i suoi detrattori di allora, avvolta in una sorta di incredulità e insieme di nostalgia. Perché in quegli anni Berlusconi era il centro intorno a cui gli altri, i «loro» messi in scena dal film di Sorrentino, nuotavano cercando visibilità ed attenzione. Comunque li si voglia giudicare quegli anni sono per l’Italia non solo gli anni del benessere materiale, della Milano da bere e dei consumi, ma anche e soprattutto gli anni di una sorta di vitalità e di egemonia culturale: dettava la linea in ambiti di tendenza e creatività come la moda, la pubblicità, il design, il marketing.

L’Italia esce dai suoi confini, insegna agli altri a fare televisione, moda, stili di vita. Sono stato testimone di questo miracolo quando, come direttore della Cinq, ho dovuto esportare la televisione commerciale in Francia. Io stesso ero in parte critico verso il gusto prevalente nella televisione berlusconiana. In realtà tutta la mia formazione è stata francese perché sulla filosofia francese, dall’esistenzialismo a Foucault, ho costruito il mio percorso universitario. All’esordio La Cinq è stata travolta dalle critiche. Ma dopo gli aggiustamenti iniziali, anche la cultura tradizionale francese ha cominciato ad aprirsi all’idea che la televisione commerciale rappresentava comunque un nuovo medium, una nuova possibilità di espressione con cui era necessario confrontarsi. Ricordo l’emozione con cui vissi la visita improvvisata di Godard nel mio ufficio. Era il mio mito cinematografico e voleva discutere con me di televisione.

Cosa voglio dire? Che la televisione commerciale sradicò un modello culturale europeo che non possiamo che rimpiangere. Musica, filosofia, cinema d’autore non funzionano nella televisione commerciale. Ma questa televisione era comunque una nuova forma di espressione e aveva una sua vitalità e i suoi codici. Rappresentava il futuro e come tale non era assimilabile al nichilismo di oggi. Tutti sanno che il mio rapporto con Berlusconi è stato un rapporto contrastato, ma non posso dimenticare la bellissima opportunità che mi offrì scegliendomi per trasformare Tele Milano in una televisione commerciale. Ho partecipato alla costruzione di quel mondo, alla creazione di Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Poi La 5 in Francia e Tele Cinco in Spagna. Ho vissuto fisicamente ad Arcore nel periodo in cui tutto veniva pensato e ideato e non c’erano orari di lavoro o di ufficio, ma la televisione prendeva forma da una sorta di total immersion che si protraeva sino a notte fonda.

A Berlusconi mi univa e mi unisce il ricordo della partecipazione a qualcosa di significativo. Mi divideva e mi divide una diversa visione del mondo. Berlusconi aveva una naturale propensione per lo spettacolo popolare. Varietà, commedia all’italiana, serie americane di successo. Io come cinéphile cercavo di inquadrare ogni prodotto in un genere e metterlo tra virgolette, facendo ricorso alla sua memoria storica. Non a caso Berlusconi mi assunse dopo che avevo catalogato per generi cinematografici il Catalogo Titanus da lui acquistato in blocco. Questo duplice piano di lettura; spettacolo popolare e inquadramento culturale del prodotto funzionò benissimo perché ci permise di lavorare in Francia in un contesto più sofisticato.

Mi è stato chiesto di ricordare un aneddoto e racconterò quello che spiega, nel bene e nel male i nostri rapporti. Quando iniziai a lavorare a Tele Milano, provenivo dalla contestazione del 1968. Berlusconi era invece un imprenditore edile affermato. Non aspiravo, come altri, a emularlo. Ma la nascita della televisione commerciale mi riempiva di entusiasmo e di stupore. E lo percepivo come un compagno in un’avventura importante. Quando mi convocò personalmente, Berlusconi mi disse: «Mentre voi inseguivate la rivoluzione, io mi davo da fare per diventare come Paperon de’ Paperoni». Io volevo fare cultura, Berlusconi voleva fare soldi.

Ma eravamo entrambi dei visionari. C’era un secondo elemento che ci separava e che avrebbe continuato a perseguitarmi anche quando ero ormai in Rai e Berlusconi intervenne col famoso editto bulgaro. Io ho nei confronti della censura una sorta di allergia naturale. Non la tolleravo e non la tollero. Ma oggi, con la saggezza dei miei anni, capisco che si tratta di un’utopia. Le televisioni costano. Finanziamenti e censura sono sinonimi. L’imprenditore finisce per piegarsi sempre alla censura per salvare l’azienda. E sulla censura il nostro rapporto si interruppe. Il mio allontanamento della Fininvest avvenne all’epoca di Mani pulite. Io volevo fare tv verità, il Caf (Craxi, Andreotti e Forlani), la politica dell’epoca, pretendeva appoggio dalle televisioni berlusconiane.

Il secondo grande scontro avvenne con l’editto bulgaro che mi sollevò per anni da ogni mansione in Rai e si concretizzò anche in una serie di cause di risarcimento milionarie da cui poi fui integralmente assolto. Subii un ostracismo totale perché rimasi per anni demansionato. Molti compagni di sventura di allora si sono bloccati emotivamente a quel momento e portano rancore. Ma io ho dimenticato tutto quando ho potuto accedere alla nuova avventura delle televisioni digitali. Mi sono idealmente riavvicinato a Berlusconi anche se tra noi non c’è più stato nessun contatto, dopo il colpo di Stato del 2011.

Dopo il governo Monti l’Italia è precipitata in una voragine da cui difficilmente sarà in grado di risollevarsi, perché il suo futuro è già tracciato. Mi sono ricordato allora che il Berlusconi delle origini si proclamava vittima di poteri forti che non riuscivo in quel momento a concepire. Lui era l’uomo più ricco e più potente del Paese, cosa voleva di più?In realtà il conflitto di interessi di Berlusconi che noi critici combattevamo come ingerenza scandalosa nella politica, non era niente rispetto al totalitarismo mondiale di oggi in cui tutta l’informazione è in mano a cinque grandi gruppi mediatici a loro volta proprietà delle grandi corporation del World economic forum.

Di fronte a questo mondo inumano, a questa propaganda totale, gli anni di Berlusconi ci appaiono oggi in una nuvola vintage, come la Rosabella di Citizen Kane, lo slittino della sua infanzia rinchiuso in una palla di vetro. E prima di morire Berlusconi stesso ha compiuto un gesto di nostalgia verso quel passato. Prima del ricovero al San Raffaele ha chiesto di essere portato a Milano 2 la città ideale da cui partì la sua fortuna imprenditoriale.
Estratto dell’articolo di Carlo Freccero per “La Verità’
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