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IRA E SGOMENTO NELLE SACRE STANZE DEL VATICANO

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LA SANTA SEDE E’ UN COVO DI VIPERE: PIETRO ORLANDI NON TIRI TROPPO LA CORDA – IL FRATELLO DI EMANUELA, AVENDO FATTO INTENDERE IN TV CHE PAPA WOJTYLA ERA UN PEDOFILO, POTREBBE AVER COMPLICATO LA RICERCA DELLA VERITÀ SULLA VICENDA DELLA SORELLA, FACENDO INCAZZARE IL VATICANO – A NATALE DEL 1983, DOPO CHE EMANUELA ERA SCOMPARSA, GIOVANNI PAOLO II ANDÒ A CASA ORLANDI E DISSE: “LA VOSTRA VICENDA È UN CASO DI TERRORISMO INTERNAZIONALE” E POI FECE ASSUMERE PIETRO ALLO IOR, LA BANCA VATICANA…

Il caso Emanuela Orlandi dopo il duro monito di papa Francesco: uno spartiacque, nella vicenda (giudiziaria e mediatica) della “ragazza con la fascetta”. All’indomani della replica netta e irritata di Bergoglio – durante la recita dell’Angelus – alle “accuse offensive e infondate” contro Giovanni Paolo II fatte circolare dal fratello Pietro, nubi pesanti si sono addensate attorno alla ricerca della verità sulla scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, avvenuta nel lontanissimo 22 giugno 1983. Di certo “lo schiaffo di Pietro” ha suscitato ira e sgomento nelle sacre stanze. «Mi dicono che la pedofilia era su, molto in alto… E che il papa usciva la sera con due monsignori, certo non per benedire le case…» le parole pronunciate in tv dal fratello di Emanuela, salvo poi precisare che la fonte nel frattempo è morta. Un boomerang anche per molti follower del suo gruppo Fb, di solito compatti nel sostenerlo. Va bene chiedere trasparenza, ma le parole vanno maneggiate con cura…

La famiglia del messo pontificio morto nel 2004 è sempre stata credente, devota, quasi bigotta. La bufera di questi giorni, quindi, somiglia a una nemesi: l’unico figlio maschio, tenace e indomito per scoprire la fine fatta dalla sorella (Emanuela era la quarta, le altre tre sono Natalina, Federica e Cristina), a causa dell’eccesso di presenza mediatica e di analisi molto tranchant («Non faremo sconti a nessuno»), rischia egli stesso di indebolire la battaglia contro omertà e reticenze. Il Papa santo, al di là del crescendo di critiche degli ultimi dieci anni e delle intemerate delle ultime ore, nella vita di Pietro è stato una figura cruciale, presente nei momenti topici. Fu lui ad assumerlo allo Ior, la banca vaticana, dove Pietro conobbe Patrizia, sua moglie e madre dei sei figli. L’episodio l’ha raccontato lui stesso nel libro “Mia sorella Emanuela”. Era il 24 dicembre 1983, vigilia di Natale. Eccola, la scena clou: «Il papa salì la rampa di scale che porta in casa Orlandi, percorse il corridoio, si affacciò nella cameretta di Emanuela con la bambola dalle gote rosse e arrivò in salotto. A Pietro sembra ieri. “Giovanni Paolo II era in piedi, che ci porgeva i suoi regali: un bassorilievo raffigurante una Madonna e un cesto… Fu in quell’occasione che mi posò una mano sulla spalla e disse: questo giovane vuole diventare banchiere? Vedremo di farlo lavorare allo Ior”» E Pietro come reagì?

Risposta: «Bisbigliai qualche parola di ringraziamento… Poi, al momento degli auguri finali, Wojtyla pronunciò davanti a tutti noi l’altra frase che non dimenticherò mai: cari Orlandi, voi sapete che esistono due tipi di terrorismo, uno nazionale e uno internazionale. La vostra vicenda è un caso di terrorismo internazionale…» Poi, la linea è mutata. In coincidenza con la popolarità in crescita, il fratello di Emanuela ha iniziato a rivedere le proprie posizioni sull’accaduto. Man mano che l’attenzione dei media saliva, Pietro ha ritoccato a più riprese la sua versione, dando la sensazione di aver perduto precedenti certezze e di privilegiare un’indagine a 360 gradi, da tenere perennemente aperta. Un presenzialismo forte, di certo motivato da passione sincera e dal desiderio di ottenere giustizia, ma anche frasi avventate, come quelle sulla mai dimostrata “trattativa” (nel 2012) tra magistratura romana e Gendarmeria vaticana «per la restituzione del corpo di Emanuela», gli annunci a ripetizione di essere a conoscenza di eventi inconfessabili «capaci di far crollare duemila anni di storia della Chiesa» o lo slogan scelto lo scorso gennaio per lanciare l’ennesimo sit-in a San Pietro: «Il silenzio li ha resi complici», scritto sopra la foto di ben tre papi, non più soltanto Wojtyla, ma anche Ratzinger e Bergoglio. I papi erano lì, tanto vicini, quasi di famiglia, e lui è cresciuto considerandoli come zii importanti e pronti a perdonare, senza cogliere fino in fondo né la straordinarietà del ruolo né la carica simbolica esercitata dal capo della cristianità agli occhi di milioni di credenti. A uno zio si può anche dire una parolaccia. A un papa, meno. E gli sviluppi della vicenda, adesso, restano più che mai incerti, imponderabili.

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