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MOGOL LUCIO BATTISTI E LA MOGLIE GRAZIA VERONESE

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“LUCIO AVEVA MOLTA FIDUCIA IN ME. FINO A QUANDO NON È ARRIVATA LA MOGLIE” – MOGOL RACCONTA BATTISTI E LA BATTAGLIA CON SUA MOGLIE: “HO VINTO DELLE CAUSE PERCHÉ LA SIGNORA GRAZIA VERONESE AVEVA DECISO CHE SI POTESSERO ASCOLTARE LE NOSTRE CANZONI SOLO SU VINILE E CD – LA ROTTURA CON LUCIO? SONO IO CHE HO VOLUTO LA SEPARAZIONE. PERCHÉ AVEVO CHIESTO A LUCIO UN’EQUA DISTRIBUZIONE SUI DIRITTI DELLE EDIZIONI. LUI PRIMA HA DETTO DI SÌ, MA DOPO CHE HA PARLATO CON LA MOGLIE…”

Spettacoli teatrali, tour, ristampe di dischi e, soprattutto, di libri. Per rievocare gli 80 anni incompiuti dei due Lucio c’è in giro un’aria solenne di celebrazioni. E proprio la ristampa della prima biografia di Battisti è il motivo di questo viaggio nelle colline umbre fino al Centro Europeo di Toscolano, dove Mogol si è rifugiato dal 1992 con tutti che gli davano del matto.

La biografia s’intitola L’arcobaleno. Storia vera di Lucio Battisti vissuta da Mogol e dagli altri che c’erano. La prima edizione era del 2000 e ora torna edita da Diarkos. L’ha scritta il musicologo Gianfranco Salvatore con l’aiuto fondamentale di Mogol che, per questo libro, ha deciso per la prima volta di rompere la consegna del silenzio e di aprire le sue ingombranti valigie dei ricordi. «Leggendolo» scrive nella quarta di copertina «ho rivissuto la nostra storia, la mia e di Lucio, che pur con qualche dispiacere non potrei immaginare più bella». Con lui in quelle pagine compaiono anche “gli altri che c’erano”, i testimoni che hanno accompagnato l’avventura della Numero Uno, la prodigiosa casa discografica di Mogol-Battisti.

Finita l’ora in palestra, davanti al fuoco, questo signore di 86 anni portati benissimo, ricorda e ripensa. Anche se «il fisico è a posto, ma la memoria un po’ meno…».

Lei dice, con Leopardi, che “parole e musica si fondono indissolubilmente, e una volta unite non si staccano più”. Perché?

«Quando scrivo, penso a cosa sta dicendo la musica. Anche durante le serate in giro per l’Italia racconto come si scrivono le canzoni. Prendo un brano, per esempio Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi, e spiego perché ho scritto quella storia. E prima ancora spiego cosa dice la musica: “La sentite questa nostalgia? Questo leggero dolore?”. Perché leggero? Perché in quel momento c’è un’altra donna vicino al protagonista della canzone.

Spiego perché la musica, quando si apre, fa vedere il mare, ci fa volare: perché ci sono “le discese ardite e le risalite”.

Insomma spiego che tutto il senso della musica deve essere interpretato dalle parole».

Quindi, sempre prima la musica?

«Assolutamente. Dalla musica arrivano le storie che racconto. Storie che si riferiscono spesso alla mia vita. Dico la vita perché la fiction non è la vita, ma la falsa vita e la gente lo capisce: la vita vera ha un profumo diverso.

Essendo poi tutti professionisti della vita perché la viviamo, sentiamo che c’è qualcosa che va al di là della cultura: l’istinto. Per questo, la vita vera ci piace di più, ci colpisce di più».

Nel libro ci sono momenti della sua vita da adolescente che poi ritornano nei versi di brani come I giardini di marzo, Pensieri e parole, La canzone del sole. Come faceva Battisti a immedesimarsi così intensamente nelle storie di un altro?

«Ogni volta che scrivevo una canzone, mi chiedeva di spiegargli tutto. Entrava nella storia solo dopo aver capito il senso profondo del testo. Perché quello che io scrivevo era vero. Quando parlo dei vestiti di mia madre, dei soldi che “al ventuno del mese erano già finiti”, è tutto vero».

Questa osmosi tra musica e parole, così profonda ed emozionante, è il vero marchio di fabbrica della premiata ditta Mogol-Battisti?

«Proprio così. Ed è una cosa davvero unica e misteriosa quando succede. Bisogna anche considerare che c’erano delle musiche straordinarie. E un interprete fantastico. Eppure ho dovuto lottare per convincere Lucio a fare anche il cantante. Portava le nostre canzoni agli altri, ma come le cantava lui erano molto più belle.

Alla fine mi ha dato retta. Lucio aveva un’urgenza dentro, una luce, che gli altri non avevano. E poi aveva molta fiducia in me. Fino a quando, e qui lo devo dire, non è arrivata la moglie».

Le mogli, nella musica, hanno talvolta questo ruolo, diciamo, un po’ antipatico.

«Questa qui però era un po’ diversa. Ma non voglio dire niente, lasciamo perdere. Comunque lei saprà che ci sono state delle cause che ho vinto, perché la signora Grazia Veronese aveva deciso che si potessero ascoltare le nostre canzoni solo su vinile e cd».

E lei lo sa che c’è stato un produttore, Pietro Valsecchi della Taodue, che voleva fare una fiction tratta dal testo di Salvatore, e che la signora Battisti ha bloccato tutto? C’era già un accordo con Canale 5 e con Claudio Santamaria come probabile protagonista. Ma la signora c’entra anche con la separazione?

«Sono io che ho voluto la separazione. Perché avevo chiesto a Lucio un’equa distribuzione sui diritti delle edizioni. Gli ho detto: “Scusa, io scrivo le parole e tu la musica, facciamo una divisione cinquanta e cinquanta”. Lui prima ha detto di sì, ma dopo che ha parlato con la moglie ha cambiato di nuovo idea. E allora ci siamo separati».

Prima dell’Arcobaleno, Salvatore aveva scritto un altro libro importante, Mogol-Battisti. L’alchimia del verso cantato – presto in ristampa per le edizioni Mimesis – che analizza il vostro intero repertorio e soprattutto la capacità che hanno le vostre canzoni “di fondersi totalmente nell’universo dell’ascolto, nella memoria storica, nell’autobiografismo delle nostre emozioni private”. Come siete riusciti nell’impresa?

«Il problema è sempre lo stesso: trovare il senso profondo della musica e trasformarlo in un testo vicino alla gente. Poi, naturalmente, ci sono gli automatismi. Nel senso che c’è un rapporto tale con la musica che rende tutto più facile. C’è un divenire, un lavoro. Dio dà a tutti la stessa possibilità di talento, ma poi succede come con il seme e la pianta. Il seme è il talento che riceviamo, poi però la pianta bisogna coltivarla».

Lei ha fama di saper capire al primo ascolto se un provino può diventare un successo. Ma se non le piace la musica che le propongono, che cosa fa?

«Non scrivo. Se non c’è una buona musica, non scrivo nessun testo».

Cosa si aspetta da questo 2023 di iniziative per gli ottant’anni di Battisti?

«Io non mi aspetto niente, né ho sogni. Secondo me, è il miglior modo di vivere. Così, se succede qualcosa di bello, evviva, sono contento».

E Lucio, a ottant’anni, come sarebbe stato?

«Lui era un grande studioso. E quindi me lo immagino così: che continua a studiare. Era un matematico, esattamente il contrario di me. Lucio, di qualsiasi cosa si appassionasse, andava fino in fondo. Impossibile fermarlo prima». Lei diceva spesso: «Se a Lucio gli fai vedere un buco lui comincia a scavare e arriva fino al centro della Terra».

«Infatti io ero un orizzontale e lui un verticale. Completamente diversi».

Un altro tema che ritorna è quello della sperimentazione. Ma cosa intendeva lei, all’epoca, per sperimentazione? E cosa intendeva Battisti?

«Veramente, più che di sperimentazione, io ho sempre parlato di libertà. All’inizio, quando Lucio è venuto da me, abbiamo provato a fare qualche esperimento con due o tre canzoni. Ma dopo il successo di 29 settembre la sperimentazione è finita».

Battisti comunque ha rivoluzionato la nostra musica.

«Lui più che altro studiava. Sa cos’è l’io psicologico? È la somma fra il Dna, che non ne rappresenta neanche il dieci per cento, e l’assorbimento degli altri. Una volta capito questo, Lucio si è messo a studiare i grandi musicisti di tutto il mondo, assimilando il più possibile da ognuno: le canzoni, lo stile, il modo di cantare. Perché se lei studia a fondo un artista, ne diventa la brutta copia. Ma se lei ne studia dieci, diventa uno di loro. Perché prende qualcosa da tutti, ma non somiglia a nessuno».

Però ci mette anche del suo. Soprattutto quando si avvicina al pop rock, non dimentica mai la melodia all’italiana.

«Questo è vero. Fin dai tempi di Amore non amore con la PFM. Battisti ha inventato una nuova cultura musicale: italiana con la ritmica americana. E poi molti innesti di musica nera, soprattutto blues. Era una spugna di creatività».

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