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L’INNOVAZIONE DI DRIVE IN

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TAROCCHI GRATIS NEWSCi sono voluti quarant’anni ma alla fine abbiamo avuto ragione proprio noi che da ragazzi ci siamo entusiasmati per lo show televisivo più strampalato, esilarante, adrenalinco, comico e sexy nella storia della televisione italiana. Fin lì e anche dopo. “Drive In” portò l’innovazione totale allo spento varietà. Inventato dal più geniale autore del piccolo schermo, Antonio Ricci, Drive In si inserisce appieno nel processo di laicizzazione del nostro Paese, da poco campione del mondo nel calcio, dove stava accadendo qualcosa di imprevedibile, i presidenti del Consiglio non più democristiani, prima Spadolini repubblicano, poi Craxi socialista, la fine del duopolio politico Dc Pci, la fine del monopolio Rai in tv, messo in crisi dall’irrompere di Mediaset e in parte anche da Mtv, il canale dei giovani, la musica per gli occhi.

Greggio, Faletti, D’Angelo, Beruschi, Braschi, Gaspare e Zuzzurro e i loro strepitosi personaggi irruppero nel linguaggio dell’Italia degli anni ‘80, con frasi, tormentoni, incedere, situazioni che ripetevamo come un mantra in settimana in attesa delle risate domenicali. Prima ancora delle geniali trasmissioni di Renzo Arbore, Drive In fu il manifesto del postmoderno applicato all’intrattenimento, un contenitore folle ma organizzatissimo basato su sketches molto rapidi e in sequenza dal ritmo ossessivo, indistinguibili dagli spot pubblicitari. Sia Ricci che Arbore non si fecero alcun problema a scoprire i corpi di giovanissime bellezze maggiorate, curvilinee e di poche parole, perché il pubblico maschile gradiva sognare con Tini Cansino, Lori Del Santo (che non furono poi troppo fortunate nella carriera di attrici del cinema) o le ragazze Coccodè.

La rappresentazione della donna allora sembrava aver rimosso del tutto le istanze femministe, le ragazze si spogliavano con piacere, fingevano di essere oche e galline, in realtà usavano le parti migliori di sè per recitare il ruolo sempiterno della seduzione, perfetto specchio di una società quasi liberata dal bacchettonismo cattolico e Comunista. Sembrava davvero giunta l’agognata fine dell’ideologismo anni ‘70, poi ripresentatosi sotto altre vesti, è contemporaneamente stavamo sperimentando e vivendo l’ingresso nell’epoca contemporanea. Drive In compie insomma una rivoluzione di linguaggio, operazioni che non riescono tutti i giorni, e il teatro si chiama Italia1, ultima nata di casa Mediaset, la più fluida e irriverente. Per decenni la critica ha identificato questo programma come lo specchio della tv berlusconiana, indicandola da colpevole per aver imposto un mondo non suo, troppo disinvolto e “demenziale”, che non faceva bene perché non abbastanza serioso e punitivo.

La verità, piuttosto, è un’altra; l’innovazione, l’avanguardia più sperimentale, già da tempo non apparteneva né alla sinistra ufficiale, quella che Giorgio Gaber aveva definito dei «grigi compagni del Pci», e neppure alla vecchia Dc consociativa con gli amici-nemici comunisti. L’avanguardia, come tale, è anarchica, scomoda, controcorrente, ridanciana, eccessiva, poco vestita. Tendenzialmente roba nostra, non so quanto di destra ma certamente non di sinistra. Drive In ci appartiene, è nel nostro Dna, le nostre risate, le nostre spacconate; felici che anche altri ne abbiano capito l’importanza e rendano omaggio a Ricci e i tanti attori che seppellirono la vecchia tv a suon di risate e belle ragazze. “C’erano le ragazze Fast food, spiccava Tinì Cansino, la cassiera Carmen Russo (poi arrivò Lory Del Santo), lo psicanalista Vermilione-Ezio Greggio, che aveva mille ruoli in commedia; erano star la guardia giurata Vito Catozzo-Giorgio Faletti sproloquiava in pugliese, il paninaro Enzo Braschi, Boldi e Teocoli, Gaspare e Zuzzurro.

Erano gli anni della Milano da bere e quella Milano era rappresentata nello studio di Drive In , il programma di Antonio Ricci. Il varietà trasmesso su Italia 1 compie 40 anni, andò in onda dal 4 ottobre 1983 al 17 aprile 1988, e, come succede per i film dei Vanzina, basta rivedere qualche immagine per immergersi in un mondo lontanissimo eppure familiare. Nel 1986 debuttò anche Pier Silvio Berlusconi, allora diciassettenne con chioma bionda e un taglio di capelli per cui non c’è indulto che tenga. Nello sketch chiamava il padre da un telefono a gettoni: con la scusa di farsi firmare autografi, in realtà faceva rifirmare i contratti per dimezzare i cachet. Poi arrivava Tinì Cansino che invece leggeva tutto, e Pier Silvio la invitava a cena.

Quindi la gag prevedeva una sfida a colpi di karate. «Fu spiritoso e bravissimo», racconta Ezio Greggio, star dello show superpop che creò fenomeni curiosi. Durante l’ “asta tosta” in cui presentava il quadro di Teomondo Scrofalo, pittore immaginario, i collezionisti si scatenarono. Un po’ come successe col cacao meravigliao di Indietro tutta : non esisteva e lo chiedevano nei supermercati. «Mi è successa una cosa incredibile », continua Greggio, «quando sono stato ospite al Festival di Dogliani, dopo due ore di intervista, si è alzato un signore dal pubblico col quadro di Scrofalo. L’aveva tenuto nascosto e l’ha tirato fuori. Baci e abbracci, gliel’ho firmato».

Per Greggio quegli anni 80 in tv furono formidabili e respinge le critiche. Sottolinea quello che disse Ricci per le celebrazioni del trentennale: «Siamo stati additati come l’origine di ogni male, accusati di volgarità. Ma per noi vale la regola della doppia lettura: non c’era sketch che non nascondesse un sottinteso, una denuncia o una battuta al vetriolo». «È davvero così», dice l’attore, «la nostra era satira, e c’è stato riconosciuto anche dai grandi critici televisivi». Drive in è stato tirato in ballo per l’immagine che offriva delle donne. «Non c’era la malizia, credo che le copertine dei settimanali dell’epoca, penso a Panorama o all’ Espresso , fossero molto più sexy, noi eravamo solo la parodia.

I balletti erano ironici » osserva Greggio «e le donne facevano le battute. Credo che Drive In sia stato lo specchio ironico e critico, divertito, di quegli anni». Racconta quando andarono da Silvio Berlusconi a fargli vedere la puntata. «Con Giancarlo Nicotra e Ricci eravamo in via Rovani. Silvio era seduto davanti a noi, ogni tanto si voltava. “Non è esattamente quello che vi ho chiesto”, ci disse, “ma intuisco che potrebbe piacere”. Ci ha fatto andare in onda, fu un successo pazzesco. Con Gianfranco D’Angelo facevo anche 120, 150 serate, certe volte due o tre la stessa notte. Ricordo un Capodanno: sono partito da Rimini e c’era Federico Fellini: “Ezio che piacere, ma che fai qui?”. Gli spiego: “Vado a Milano marittima, e mi aspettano a Ravenna alle 6 del mattino”. Era allibito. Saluto anche Giulietta. Alle 23.30 scendo, mi stava aspettando. Mi ha accompagnato alla macchina dicendomi che mi seguiva con D’Angelo a Drive In e mi ha lasciato anche una lettera».CONTINUA A LEGGERE SU TAROCCHI GRATIS

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